Due chiacchiere con Michele “Cerno” Carobbio, frontman dei “The Vad Vuc”

Era il 25 dicembre del 2000 quando un gruppo di giovani appassionati di musica diedero vita al progetto “The Vad Vuc”. Di anni ne sono passati tanti (ben 20!): quasi 400 concerti, 10 album e illustri collaborazioni. Il 2020 doveva essere per loro un grande anno per festeggiare tutti questi traguardi… ma l’emergenza sanitaria ha stravolto inevitabilmente i loro piani iniziali, ma non tutti. Il 6 novembre 2020 è uscito infatti il loro nuovo album “VADAVIALCOVID” che è stato sostenuto dal nostro partner BancaStato. Abbiamo contattato Michele “Cerno” Carobbio per fare due chiacchiere sul loro ultimo lavoro e per un bilancio di questi primi 20 anni.

Cerno, tutti ti conosciamo come il frontman dei “The Vad Vuc”, ma raccontaci un po’ chi sei al di fuori della scena musicale…

Vi posso tranquillamente dire che sono una persona qualunque. Niente di speciale. Ehehe! Sono un designer e lavoro a Lugano. Ogni mattina, come tanti, mi butto nel traffico – con tutte le difficoltà del caso – per raggiungere il mio posto di lavoro. Sono sposato e sono padre di famiglia, ho due fantastici “nanetti” di 6 e 5 anni. Mi piace la natura, i boschi e coltivare l’orto.

 

Il 6 novembre è uscito il vostro ultimo album “VADAVIALCOVID”. Come sono nate le canzoni e di cosa parlano?

Le canzoni sono nate in un lasso temporale di 20 anni. Però si sono materializzate in brevissimo tempo. “Öcc” ad esempio è datata 2000, ma durante il lockdown di marzo l’abbiamo riscritta e riarrangiata. Altre canzoni invece (se penso a “Bud & Terence”, “Kursk”, “Capito”, ecc.) sono state scritte proprio qualche mese fa. Le canzoni parlano di svariate tematiche: dal Covid-19 come “Kursk”, a riflessioni più ampie sul contatto fisico e non solo come “Piano”, a brani più scanzonati come Bud & Terence (i loro film ci hanno fatto compagnia durante il lockdown), a canzoni che parlano di personaggi leggendari (riemersi alla nostra memoria chissà perché proprio questa primavera) come ad esempio “Giani Mutur”.

 

Il 2020 è anche un anno importante per voi: avete festeggiato i 20 anni del gruppo “The Vad Vuc”. Ripensando a tutti questi anni, quali sono i 3 ricordi più belli?

Sicuramente fra i ricordi più belli ci sono il concerto al Forum di Assago in apertura di Davide Van De Sfroos di fronte a 13’000 persone, oppure una 5 giorni “selvatica” on the road con dei concerti folli fra Avellino e Benevento, oppure quella giornata a Parigi con Stéphane Mellino de Les Negresses Vertes (ospite sul nostro disco “Hai in mente un koala?”) durante la quale ci siamo disintegrati a suon di Armagnac… 

 

 

… e il concerto più bello? 

Di concerti belli ne abbiamo fatti tantissimi. Il più emozionante però devo dire che è stato la prima sera del concerto dei 20 anni al Teatro Sociale di Bellinzona, lo scorso 25 settembre. Meraviglioso. Per noi era la prima volta che suonavamo in quel contesto magico, e per di più c’erano con noi tuti gli ex-membri dei The Vad Vuc. È stata una festa potente ed emotivamente entusiasmante: ho addirittura visto qualcuno piangere nel pubblico, travolto dalle emozioni… Qualcosa di impagabile per noi.

 

20 anni e anche tante canzoni, qual è quella a cui sei più affezionato? 

Probabilmente credo sia “A volte capita” che si trova su Vadavialcovid, una canzone scritta dopo essermi sentito male nel novembre 2017. Per anni a questa domanda ho risposto citando “Caro Dottore”, perché per me ha segnato un vero e proprio cambio di scrittura musicale e di concezione delle canzoni. Oggi invece mi sento di dare una risposta diversa, perché l’esperienza del 2017 è stata, a tratti, più devastante di quella di “Caro Dottore”. Secondo me “A volte capita” è la canzone più importante che abbiano mai scritto i Vad Vuc.

 

Avete suonato su moltissimi palchi, ma come è stato tornare a suonare davanti ad un pubblico dopo il lockdown?

Fighissimo. Mamma mia che adrenalina! Il contatto con il pubblico ci è mancato tantissimo e ci manca tutt’ora. Non vedo l’ora che questa pandemia passi alla svelta, perché in ogni caso suonare davanti a 300 mascherine è qualcosa di allucinante: sembra di essere di fronte ad un manipolo di banditi del vecchio West.

 

BancaStato ha sostenuto il vostro ultimo album. Quanto è stato importante il loro contributo per la sua realizzazione?

Fondamentale. Il nostro obiettivo è festeggiare i nostri 20 anni devolvendo 20’000.- CHF alla Federazione cantonale Ticinese dei Servizi di Autoambulanza (FCTSA). Non so se ci riusciremo… ma ti posso garantire che senza il sostegno di BancaStato questa cifra sarebbe stata un’utopia.

Per concludere, qual è secondo te la ricetta del successo dei “The Vad Vuc”??

Non lo so, perché fondamentalmente non abbiamo inventato nulla. Secondo me credo che uno dei segreti possa essere (oltre alla voglia di divertirci e di fare festa che inevitabilmente contagia il pubblico) il fatto che in un certo senso siamo sempre stati “sinceri” e schietti con la nostra musica. Abbiamo sempre raccontato le nostre storie senza troppi peli sulla lingua. Abbiamo raccontato i nostri dubbi, le nostre paure, i nostri drammi, i nostri scazzi. Credo che questo modo di scrivere abbia creato un filo di comunicazione diretto con il nostro pubblico.